«Un notturno di Chopin, il primo dell’opera 9 di Fryderyk Chopin. Mille vibrazioni che risalgono dalla punta delle dita e raggiungono gli angoli più reconditi dell’anima. Al pianoforte c’è Daniele, un ragazzo speciale. Ad ogni nota del pianoforte si accende un angolo del suo mondo fatto di silenzi, di parole sussurrate, di suoni non chiari, talvolta distorti. Si, perché Daniele ascolta, non sente. Ascolta tutto ciò che la musica gli vibra nell’intimo. Questo ragazzo è diventato pianista, musicologo e compositore, è non udente dalla nascita e si chiama Daniele Gambini. L’ho incontrato prima di un suo concerto nel magnifico chiostro di San Paolo a Ferrara e gli ho fatto qualche domanda», scrive Lazzarini.
Benvenuto, Daniele. Quale significato assume, per la sua esperienza personale, in relazione alla sua professione, il verbo “ascoltare”?
L’ascolto avviene soprattutto con il corpo. L’emozione, che non ha colore, è energia che vibra nel corpo, la nostra vera cassa di risonanza. Ascoltare le proprie vibrazioni perciò è fondamentale, per me assume un’importanza decisiva nel rapporto con la musica e con il pianoforte.
Mi sembra di capire che il termine “vibrazione” per lei ricopra un valore molto importante. Ce ne può parlare?
Credo che la vita sia una “relazione di vibrazioni”. Questa rete, che ciascuno di noi possiede, deve essere valorizzata, perché ci aiuta a vivere meglio e con maggior consapevolezza. Mentre per le persone non udenti questo aspetto diventa fondamentale, i cosiddetti “normodotati” sono persuasi, talvolta, di poterne fare a meno, in quanto possessori di apparati percettori integri, ma non è affatto così. Dobbiamo ascoltare più con il corpo nella sua totalità e meno con le orecchie. Prima di iniziare a suonare, durante un concerto, il mio corpo deve già iniziare a vibrare, altrimenti non ha senso la mia musica.
Ritiene quindi che la sordità non sia un ostacolo per chi vuole intraprendere il lavoro di musicista.
Assolutamente no! Come tra gli udenti, ci sono persone portate per la musica e persone che non lo sono. E’ solo una questione di percezione ed interiorizzazione del messaggio sonoro.
Qual è il suo rapporto con il pianoforte?
Il pianoforte è, per così dire, una “protesi”, che mi permette di assorbire le vibrazioni musicali che salgono, attraverso le dita, dalla tastiera a tutto il resto del corpo. I suoni gravi si amplificano nella parte bassa del mio corpo, quelli acuti nella parte alta. Mi piace talvolta aprire il pianoforte a coda e, sporgendomi in avanti, senza ausili acustici, di farmi permeare da quelle magnifiche vibrazioni. La mia “diversabilità”, in assenza di protesi acustiche, mi impedisce di percepire, in particolare nei suoni acuti, una qualità soddisfacente del suono. Ho una migliore percezione nella parte grave, però senza “armoniche” dei suoni. Tutto questo, tuttavia, è ampiamente compensato da tutto ciò che ho detto in precedenza. Potrei dire che in base al modo con il quale respiro, la risposta dello strumento sarà differente. La musica quindi come specchio dell’anima.
Cosa rappresenta per lei, in definitiva, la musica?
La musica è un mezzo per conoscere meglio sé stessi, ma per farlo occorre mettersi in ascolto del proprio corpo e di cosa ci vuole comunicare. Dobbiamo imparare a metterci in ascolto di tutte le frequenze sonore che ci circondano e non solo di quelle che possiamo percepire con le orecchie.
Link social e streaming:
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